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[p. 393] Arenga papale nelle nomine di notai imperiali

Prima di segnalare i casi, che intendo proporre nella presente comunicazione, tutti del secolo XIV, occorre premettere una breve considerazione sulle nomine notarili dei secoli immediatamente precedenti.1

E’ noto che, quando gli imperatori del Sacro Romano Impero, riprendendo la concezione del potere imperiale universale dell’età giustinianea, nominarono notarii domini imperatoris e Sacri Palatii, con facoltà, anche se non espressa, di rogare atti privati ubique, si veniva affermando il potere universale del papa, per cui si ebbero notarii domini papae, Sacri Palatii Lateranensis, sanctae Romanae Ecclesiae.2 Le due categorie di notai (imperiali e papali) non erano in contrasto, nè in concorrenza, pur avendo facoltà e competenze analoghe, anzi talvolta agivano insieme a servizio della stessa abbazia o dello stesso comune o della stessa cancelleria:3 semmai, la [p. 394] contrapposizione era personale, forse nel momento della nomina, nell’ambiente locale, per il prevalere dell’una o dell’altra parte come segno di effettivo potere.4

Il parallelismo tra le due categorie continuò, anche se la loro caratterizzazione politica divenne più evidente nella contrapposizione di poteri tra Chiesa e Impero, tra guelfi e ghibellini.

Nella seconda metà del secolo XII, a seguito del chiarimento in sede di scuola, nelle università (a Bologna), del concetto di auctoritas, fu espressa nelle sottoscrizioni dei notai la natura dell’autorità da cui avevano ricevuto la nomina: imperiali o apostolica auctoritate. Con tale qualifica essi affermavano la facoltà di rogare ubique, riconosciuta nei diversi Paesi d’Europa,5 tranne eccezioni determinate da particolari situazioni politiche.6

I primi esempi noti di notai pubblici che usano la nuova qualifica sono del 1180 e del 1183.7 Il testo più antico di documento papale per la nomina di un notaio pubblico, finora noto, con l’arenga che forma oggetto della presente comunicazione, è contenuto in un fascicolo di Privilegia notariorum de Cortona scritto nel 1248, conservato nella Biblioteca Comunale di quella città:8 sono bolle di Gregorio IX con l’arenga:

[p. 395] Ne contractuum memoria deperiret, tabellionatus officium inventum [est] quo contractus legitimi ad cautelam presentium et memoriam futurorum manu publica notarentur.“

La prima bolla papale di nomina conservata in originale, finora nota, è una littera gratiosa d’Innocenzo IV dell’11 gennaio 12529 per la nomina a notaio pubblico di Ventura, laico della diocesi di Arezzo, pievano de Bacialla (località nel territorio di Cortona, ora di Terontola).10 Nel testo c’è solo una piccola variante rispetto a quello di Gregorio IX: ut in luogo di quo.

Quanto all’origine della formula Ne contractuum, il suo testo compare con qualche variazione, che non modifica il senso, all’inizio del Proemium dell’Ars notariae di Bencivenne di Spoleto,11 la cui redazione è stata attribuita all’anno 1235 e poi, con prudente approssimazione, al terzo o quarto decennio del ‘200. Data la quasi contemporaneità delle prime testimonianze dell’arenga, sorge il dubbio se Bencivenne abbia ripreso le parole dell’arenga papale da una bolla o la cancelleria papale abbia adottato nell’ arenga le prime parole del Proemio dell’Ars Notariae di Bencivenne. E’ possibile che un esemplare della sua opera fosse già posseduto dalla Curia romana, essendo citato nell’inventario della biblioteca papale del 1339, che contiene libri posseduti in precedenza e confluiti nella biblioteca di Bonifacio VIII, la prima di cui si conosce la composizione.12

Occorre osservare il concetto espresso in tale arenga in confronto con quelle delle nomine imperiali, che sono rare e diverse tra loro, perchè non costituivano un’attività usuale della cancelleria, non seguivano un formulario. Ne abbiamo un riflesso in talune nomine eseguite per facoltà delegata da conti palatini. Domina in tutte il concetto dell’esaltazione del potere universale [p. 396] dell’autorità imperiale. Per esempio, in un privilegio dell’imperatore Venceslao riportato nella nomina concessa a Perugia il 10 agosto 1400 da un conte palatino,13 si legge: Cum iudicatus [et] tabellionatus offitia sint divinitus promulgata et postmodum per Romanum Imperium instituta… Il termine divinitus deriva dalla terminologia giustinianea, ma forse è usato intenzionalmente con significato pregnante per affermare la sacralità del potere.

Invece l’arenga papale non accenna al potere ed è piuttosto una nota storica: il tabellionato è stato istituito (anzi, inventum est, senza darne il merito all’autorità imperiale) per assicurare la validità dei contratti scritti in forma pubblica. Il termine contractus è usato in senso generico, comprende ogni genere dei documenti privati. La nomina dei notai ha dunque una finalità sociale, per conservare la validità degli atti scritti ed evitare liti tra gli uomini: in questo senso si giustifica l’intervento del papa senza un richiamo alla plena potestas. Si noti che le nomine di notai sono l’unica materia, tra le molte trattate nelle bolle pontificie, che non sia di oggetto espressamente religioso o ecclesiastico, ma di carattere sociale. Più esplicito è il motivo dell’intervento del papa espresso nelle nomine a giudice e notaio; per es. nella bolla di Innocenzo IV del 17 dic. 1248 a Matteo di Giacomo Perugino,14 si ha: Ne, si ius sibi quisque in propria causa dictaret, non sopirentur discordantium lites, sed potius augerentur, et eorum fieret odium immortale, provida fuit deliberatione provisum, ut certe persone, que forent in iure perite, ad iudicatus officium sumerentur, et aliorum lites iuxta iuris ordinem terminarent: Rursum inventum est tabellionatus officium, ut … Anche in questa arenga si ha un riferimento storico (provida fuit deliberatione provisum, alludendo agli interventi imperiali senza citarli espressamente).

L’arenga Ne contractuum delle nomine di notai papali resta immutata per secoli: tipica ed esclusiva.15 Ne sono prova le nomine contenute nei registri delle bolle conservati nell’Archivio Vaticano.16

[p. 397] Perciò sorprende di trovare tale arenga in un ambiente diverso in una nomina vescovile di notaio imperiale.

Si tratta di un diploma (privilegium) del vescovo di Chiusi Matteo diretto Jacobo nato Martelloni de Sancto Gemino Narniensis diocesis17 per la sua nomina a notaio imperiale, emesso in Orvieto il 27 marzo 1318.18 Il diploma è in copia autenticata in Todi il 21 giugno 1330 da due notai (Gerardus de Tuderto, publicus imperiali auctoritate notarius et iudex ordinarius, e Nicolaus Mannis Gerardi, alias dictus Bocciali de Tuderto, similmente di autorità imperiale) con l’assistenza del giudice maggiore della curia tuderte Pietro da Fabriano, al tempo del podestà Giovanni da Castiglione.

L’arenga è la stessa della bolla originale del 1252, salvo una variante insignificante: tabellionatus officium est inventum invece di inventum est tabellionatus officium.

Le formalità esterne della copia, sono regolari, non c’è motivo di dubitare della validità del diploma esemplato. Il notaio Giacomo, che l’ha autenticata, compare con il proprio signum e con la qualifica imperiale nella sottoscrizione autografa di un altro documento da lui rogato a Todi nel 1329.19

La copia del documento vescovile comincia con Hoc est exemplum e contiene l’accurata descrizione del sigillo (pendente di cera bianca e rossa, con la rappresentazione di un santo in un’arcata gotica) e di un vescovo genuflesso, con il suo nome.20

[p. 398] Riporto per intero il suo testo:

Frater Matheus, miseratione divina episcopus Clusinus, dilecto nobis in Christo Iacobo nato Martelloni de Sancto Iemino, Narniensis diocesis, notario, salutem in Domino.

Ne contractuum memoria deperiret, tabellionatus officium est inventum, quo contractus legitimi ad cautelam presentium et memoriam futurorum manu publica notarentur. Tuis igitur supplicationibus annuentes, te publicum et autenticum notarium ac iudicem ordinarium constituimus, facimus et creamus, tibi, recepto prius a te fidelitatis debite iuramento, scribendi, legendi et faciendi omnia que ad tabellionatus offitium spectant, nec non dandi tutores, curatores, actores, decernendi alimenta, publicandi testes, emancipandi, aliosque actus legitimos ad iurisdictionem ordinariam pertinentes publice exercendi, auctoritate imperiali qua fungimur facultatem plenariam concedentes. In cuius rei testimonium presentes licteras nostro sigillo pendenti munitas, scribi publice iussimus in formam publici instrumenti per Prudencinum notarium infrascriptum camere nostre scribam.

Actum et datum in domibus hospitalis Sancte Marie de Urbeveteri, presentibus Ciaffarino de Faventia, plebano plebis de Celle, Clusine diocesis cappellano, Scorcolino Leonardi Scorcolini et Paulo Iohannis Astalli de Urbe, familiaribus dicti domini episcopi Clusini ac Andriutio Iacobutii de Sancto Iemino, Narniensis diocesis, testibus ad predicta vocatis et rogatis, sub millesimo trecentesimo decimo octavo, indictione prima, die vigesimaseptima martii, etc.

Et ego Prudencinus filius Mini condam magistri Bruni de Ymola, imperiali auctoritate notarius et dicti venerabilis patris scriba, predictis omnibus presens ea de ipsius mandato publice scripsi.

Si noti che alla fine, dopo la data, è riportata l’attestazione autografa della scrittore (scriba del vescovo), un notaio di Imola, che certo lo aveva seguito dopo il suo trasferimento a Chiusi. Così la plena fides del documento era assicurata dal sigillo e dalla sottoscrizione notarile.

Il vescovo è Matteo Orsini, francescano, nominato vescovo di Chiusi il 22 gennaio 1317 dopo essere stato vescovo di Imola (dal 5 agosto 1302).21

La singolarità del privilegium pone problemi di storia, oltre che di diplomatica.

Innanzi tutto per la personalità del vescovo Matteo, che apparteneva alla potente famiglia romana degli Orsini, sostenitrice per tradizione del papato di fronte ai Colonna: era nipote (figlio del fratello) del cardinale Napoleone Orsini, un personaggio influente nella Roma del tempo, che era [p. 399] stato capo filo-francese nel conclave di Perugia (1305) per l’elezione di Clemente V, primo dei papi avignonesi.

Benchè nel testo del privilegio il vescovo Matteo dichiari di agire auctoritate imperiali, qua fungimur, non risulta quando e da chi avesse ricevuto la facoltà imperiale:22 se fosse stata concessa ad un vescovo di Chiusi suo predecessore al tempo degli Svevi, nella tradizione della protezione imperiale ai vescovi della Toscana, oppure fosse stata concessa da Enrico VII di Lussemburgo sceso in Italia nel 1310, che aveva diretto nel 1312 la spedizione contro i guelfi della Toscana, aveva risieduto a Pisa ed era morto nel 1313 a Buonconvento, presso Siena.

La facoltà imperiale poteva essere stata concessa da un conte palatino. Ed anzi, l’esercizio della facoltà esercitata dal vescovo di Chiusi nel 1318, negli anni della contesa per il riconoscimento imperiale, poteva essere una presa di posizione intenzionale di fronte a Ludovico il Bavaro.

Anche il fatto che, essendo vescovo di Chiusi, abbia agito a Orvieto a favore di un notaio di Todi, non è facile a spiegare. Forse Matteo Orsini aveva un interesse personale per Todi a motivo dello zio cardinale Napoleone. L’intervento nel 1318 per la nomina di un notaio, che avrebbe rogato in quella città (vedi il documento citato nella nota 18), può essere messo in relazione con la notizia che in quell’anno il Comune aveva nominato il card. Napoleone protettore della città in una vertenza con il capitano del Patrimonio.23

Comunque, l’uso dell’arenga pontificia nella nomina di un notaio imperiale (tanto più da parte di un vescovo di famiglia romana di parte papale) è una imitatio forse intenzionale e comunque assai significativa.

Vale la pena segnalare qualche altro caso, meno importante, dell’uso di formule papali nelle nomine di notai imperiali.

Nella nomina concessa da un conte palatino il 13 maggio 1400 si riproduce il testo del privilegio dato dall’imperatore Carlo IV nel 1355 ai suoi antenati tamquam comitibus Laterenensis (!) palatii,24 ma i conti del Palazzo Lateranense erano di nomina pontificia!

Nel testo di una lunga arenga per la nomina di un notaio imperiale concessa da un altro conte palatino, a Perugia, il 18 ottobre 1420, in virtù di un [p. 400] privilegio dell’imperatore Venceslao del 1397,25 sono inserite parole e frasi tipiche dell’arenga papale: … et ne contractuum memoria deperiret … (imperialis celsitudo) tabellionatus offitium utiliter adinvenit … quibus contractus legitimi ad cautelam presentium et memoriam futurorum manu publica notarentur. E pure a Perugia, nella nomina a giudice ordinario e notaio imperiale, nel 1400, si hanno parole e frasi dell’arenga papale.26

Però la presenza dell’arenga papale in una raccolta del principio del ‘300, come fosse usata dalla cancelleria imperiale è dovuta certamente ad un equivoco del compilatore. Si tratta del „Baumgartenberger Formelbuch“27 composto nel monastero dell’Alta Austria da cui prende il nome, che contiene una raccolta di arenghe come esempi de modo prosandi (forse ad uso di scuola), ordinate secondo la qualità degli autori dei rispettivi documenti. Il testo dell’arenga Ne contractuum è riportato tra le arenghe imperiali, invece che tra quelle papali (con una variante certo dovuta ad una cattiva lettura della fonte: disperiret invece di deperiret), preceduta dal lemma inesatto: Imperator indulget alicui, quod quem possit privilegiare super officio tabellionatus.


Anche queste testimonianze posteriori al caso del vescovo di Chiusi, attestano l’influsso che la formula papale Ne contractuum ha avuto nella redazione di documenti estranei alla Curia papale, proprio nel secolo in cui era divenuta molto diffusa per il moltiplicarsi delle nomine di notai appartenenti a tutti i Paesi del mondo latino.


1 Sull’evoluzione del carattere dei tabelliones considerati nella legislazione giustinianea (termine che continuò ad essere usato ufficialmente nelle nomine fino all’età moderna per indicare i notai) mi limito a citare per un’informazione generica e complessiva M. Arnelotti–G. Costamagna, Alle Origini del notariato italiano, Roma 1975 (Studi Storici sul Notariato Italiano, 2).
2 Segnalo l’accurata ricerca, accompagnata da una ricchissima ed esauriente documentazione, di R. Hiestand, Notarius Sedis Apostolicae. Ein Beitrag zum Verhältnis von Notariat und Politik, in: Tradition und Gegenwart. Festschrift zum 175 jährigen Bestehen eines badischen Notarstandes, hg. von P.J. Schuler, Karlsruhe 1981, pp. 36–56. L’esame delle fonti ha portato a riconoscere, tra gli anni 1057 e 1199, la presenza di 637 documenti di notai papali, su un totale di 2363 (27 %): ma essi non appartenevano all’organizzazione della Curia Romana (come è stato supposto), ed anzi agivano in molti luoghi nel campo dei documenti privati. Era una imitatio imperii.

3 Tra i documenti contenuti nel Liber censuum della Chiesa romana figurano molti notai con l’una o l’altra qualifica (P. Fabre – M. Mollat, Le Liber Censuum …, III, Tables des matières, p. 29).

Alcuni notai con doppia qualifica (imperiale e papale) sono citati da J. Bono, Historia del Derecho Notarial Español, I, Madrid 1982, p. 199, nota 6.

Un caso particolare si ha nel registro di Bonifacio VIII: quando, per ordine del card. vicecancelliere, fu cancellato in forma ufficiale il testo di alcune bolle relative a Filippo il Bello; la cancellazione fu eseguita da due addetti all’ufficio (litterarum Apostolicarum registratores), di cui uno era notaio publicus apostolica auctoritate e l’altro publicus imperiali auctoritate (Arch. Vat., Reg. Vat. 50, f. 140).

4 Senza dubbio la notevolissima prevalenza del numero dei notai imperiali, rispetto ai notai papali, nelle Marche, che pure erano terre della Chiesa, negli anni di Federico II, è dovuta al prevalere dell’esercizio del potere politico nelle singole località (G. Battelli, I notai „imperiali auctoritate“ nelle Marche al tempo di Federico II (1220–1250), comunicazione tenuta al Convegno Federiciano, Jesi 1994, in corso di pubblicazione).
5 Vedi: Notariado público y documento privado: de los orígenes al siglo XIV. Actas del VII Congreso Internacional de Diplomática (Valencia, 1986), 2 voll., Valencia 1989.
6 Segnalo la nota disposizione De notariis imperialibus non admittendis inviata da Edoardo II re d’Inghilterra il 26 aprile 1330 all’arcivescovo di Canterbury e ai viceconti di Londra per proibire di dar fede ai documenti rogati da notai di nomina imperiale con la motivazione: Licet Regnum nostrum Angliae ab omni subiectione imperiali sit immune et ab origine mundi extiterit alienum, tanta tamen moltitudo notariorum auctoritate imperiali … crevit, quod nobis et iuri Coronae nostrae grave exhaeredationis periculum … praesumitur evenire … (Th. Rymer, Foedera …, ed. II, t. III, Londini 1727, p. 829–830).
7 R. Hiestand, Notarius, cit. (nota 2), pp. 39 e 51, nota 43. Mancando la testimonianza diretta di bolle papali per la nomina di notai pubblici prima di Gregorio IX (vedi qui appresso la nota 8), acquista valore la notizia di nomine attribuite a Innocenzo III nell’Ars Notariae di Raniero Perugino, composta tra il 1224 e il 1234, che contiene il testo di una bolla attribuita ad Innocenzo III (di data incerta), da ritenere fittizio, creato come esempio a scopo didattico (come l’altro esempio, un privilegio di Enrico IV già riconosciuto fittizio). I due testi illustrano il capitolo De officio notariae, che annota: Huius officii privilegium aliquando a domino papa vel imperatore … erogatur, E’ evidente che Ranieri riporta la situazione in uso nel suo tempo (L. Wahmund, Die Ars Notariae des Rainerius Perusinus, in Quellen zur Geschichte des roemisch-kanonistischen Processus im Mittelalter, III, 2. Heft, Innsbruck 1917, p. xxxiv, nota 2).
8 Cortona, Bibl. Comunale, Registro Vecchio 124, f. 95v: G. Nicolaj Petronio, Per una storia della documentazione vescovile aretina dei secoli XI–XII. Appunti paleografici e diplomatici, „Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università di Roma“ 17–18 (1977–1978), p. 167.
9 Arezzo, Archivio della Canonica, Fondo Diplomatico n° 497, in: Nicolaj Petronio, Per una storia, cit., p. 157. L’attribuzione all’anno 1207 è ripresa dalla datazione errata dell’inventario dell’archivio.
10 Non ho trovato nessuna testimonianza dell’attività del pievano Ventura come notaio. Era laico, forse quando divenne prete (vedi qui appresso) lasciò la professione. Altre notizie di lui compaiono nello stesso archivio di Arezzo: nel 1257 il vescovo e il pievano di Bibbiena, esecutori nominati dal papa (Alessandro IV), assolvono il pievano Ventura dalle scomuniche in cui era incorso e dall’interdetto che aveva colpito la pieve per motivi di natura economica, per il mancato pagamento del datium imposto dal papa pro balistaribus et arcatoribus in Apuliam destinatis (una spedizione militare contro imperiali poco nota) e del datium dovuto dalla pieve per la consacrazione del vescovo (Arch. Canonica, cit., n° 653, n. XXX dell’inventario); il 20 dicembre 1279, essendo presbiter, Ventura, pievano de Bacialla, infirmus et alienatus a mente, gli viene dato un coadiutore (ivi, n° 620, f. 110v); e il 25 agosto 1280 rinuncia al plebanato (ivi, n. 620, f. 105). Esprimo un vivo ringraziamento al can. d. Silvano Pieri, archivista del Capitolo, per l’aiuto datomi nella ricerca.
11 Edita da G. Bronzino, Bencivenne. Ars notariae, Bologna 1965 (Univ. degli Studi, Facoltà di Lettere e Filos., Ricerche, N.S. 14), p. 1.
12 A. Pelzer, Addenda et emendanda ad Fr. Ehrle Historiae Bibl. Vaticanae tom. I, Città del Vaticano 1947, p. 63, n. 402.
13 Abbondanza, Il notariato, cit. (nota 3), p. 52.
14 Arch. Vat., Reg. Vat. 21 A, f. 20v; E. Berger, Les registres d’Innocent IV (1243–1254), Paris 1884, n. 4290.
15 P. M. Baumgarten, Von der apostolischen Kanzlei, Köln 1908 (Görresgesell., Sektion f. Rechts- u. Socialwiss. 4.Heft), p. 43, ritiene che la formula Ne contractuum sia comparsa per la prima volta alla metà del sec. XIII e dal terzo quarto del secolo abbia avuto un dominio assoluto (Alleinherrschaft); è riportata da M. Tangl, Die päpstlichen Kanzleiordnungen von 1200–1500, Innsbruck 1894, p. 329, n. 132, riferita genericamente al sec. XIII; è presente nel formulario di Marino da Eboli (sec. XIII), ed. da F. Schillmann, Die Formularsammlung des Marinus von Eboli, Rom 1929 (Bibliothek d. Preuss. Hist. Inst. in Rom, XVI), p. 169, dove sono citati esempi dei registri di Innocenzo IV, Niccolò III e Urbano IV, avvertendo che la formula sembra sia stata usata per la prima volta da Innocenzo IV.
16 Le prime nomine di notai apostolica auctoritate che compaiono nei registri papali sono due di Innocenzo IV (1243–1254); le bolle citate del 1234 e del 1252 non sono nei registri. Le nomine diventano poi frequenti: da Niccolò III (1277), fino a tutto Bonifacio VIII († 1303) sono oltre 400. Ma bisogna tener presente che solo una parte delle bolle spedite era registrata. La registrazione divenne più regolare al tempo dei papi avignonesi, anzi da allora le nomine notarili vennero registrate in fascicoli distinti (come accadeva per altre materie) con il titolo De tabellionatus officio (G. Battelli, I notai pubblici di nomina papale nel Duecento, „Archivum Historiae Pontificiae“ XXXVI, 1998, in corso di stampa).
17 Il termine nato per filio è preso dall’uso delle bolle papali, dove però si trova per non ripetere la voce filio usata immediatamente prima nella inscriptio.

18 Ringrazio pure cordialmente il prof. Roberto Abbondanza, ordinario dell’Università di Perugia, per avermi procurato, con l’autorizzazione dell’autore, la tesi di laurea, da lui diretta, del dott. Claudio Ferretti, Documenti per la storia del notariato a Todi (discussa all’Università di Perugia, an. 1992–93), che contiene il testo di questo e di altri documenti.

19 Todi, ivi, f. 27v.: Et ego Jacobus Mataloni de Sancto Gemino imperiali auctoritate notarius.
20 Ivi, f. 32r: in quo quidem sigillo in cera rubea et summa parte ipsius sigilli erat sculta imago beate Marie Virginis sedentis et Filium in brachio tenentis, intra quemdam archum columpnatum et subtus ipsos immaginem et archum erant sculti duo archi columpnati, in quorum utroque sculta erat immago ad modum immaginis cuiusdam sancti, et subtus ipsos archos et immagines sculta erat immago cuiusdam episcopi genuflessi; littere vero stantes in ipsius sigilli circuitu sic dicebat, scilicet fratris Mathei Dei gratia episcopi Clusini.
21 C. Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, I, Monasterii 1913, pp. 195 e 284.
22 Sono noti diplomi imperiali a favore del vescovo di Chiusi: di Enrico VI (1196), Ottone IV (1209) e Federico II (1219 e 1231), pubblicati da L. Fumi, Codice diplomatico della città di Orvieto, Firenze 1884 (Documenti di Storia Italiana, VIII), rispettivamente alle pp. 45, 56, 86 e 133; ma nessuno di essi cita espressamente la facoltà di nominare notai. Analoga è la situazione del vescovo di Arezzo (Nicolaj Petronio, Per una storia, cit. (nota 8), p. 168).
23 Nel Catalogo delli Podestà, Capitani di guerra e Governatori di Ottaviano Ciccoli (ms. del sec. XVIII nell’Arch. Storico Comunale di Todi, Fondo Petti, Arm. VI, cas. V, n. 1, f. 74v.).
24 Abbondanza, Il notariato, cit. (nota 3), p. 47.
25 Abbondanza, Il notariato, cit. (nota 3), p. 53.
26 Abbondanza, Il notariato, cit. (nota 3), p. 52 (già citato nella nota 13).
27 Ed. da L. Rockinger, Briefsteller und formelbücher des eilften bis vierzehnten jahrhunderts, München 1863 (Quellen zur Bayerischen und Deutschen Geschichte, IX), ristampato New York 1961, p. 819, n. 109.